
Quale Pac per l’agroecologia? Il web talk di #Cambiamoagricoltura
Si è tenuto on-line un confronto fra docenti universitari, rappresentanti delle organizzazioni e delle associazioni impegnate nel campo della bioagricoltura. Al centro la necessità di correggere la rotta e realizzare nel concreto, attraverso politiche di sostenibilità, gli obiettivi del Green Deal
Alla vigilia del trilogo sulla nuova PAC, la Coalizione #Cambiamoagricoltura ha realizzato un Web talk, moderato dal giornalista Lorenzo Tosi di Edagricole, dal titolo Agroecologia e PAC post 2020 – Un nuovo paradigma per la transizione ecologica dell’agricoltura europea ed italiana, alla presenza di un ricco parterre di docenti universitari e rappresentanti delle principali associazioni o organizzazioni italiane del settore agricolo.
Un tema caldo, quello della nuova Politica comune europea, ulteriormente surriscaldato dalle dichiarazioni di Frans Timmermans, Vicepresidente della Commissione europea, che negli ultimi giorni ha dichiarato via Twitter:
«Perché sono irremovibile su una nuova politica agricola coerente con Green Deal Europeo? Perché le attuali posizioni della PAC necessitano ancora di miglioramenti per sostenere il nostro impegno comune per il clima e per implementare le nostre strategie FarmToFork e Biodiversità».
Why am I adamant about a new agricultural policy fit for the #EUGreenDeal? Because current #CAP positions still need improvements to uphold our joint commitment for #climateaction and implement our #FarmToFork and #Biodiversity strategies.
Our analysis: https://t.co/wg2j2w0jNG https://t.co/avjHwhAZOy
— Frans Timmermans (@TimmermansEU) November 17, 2020

E su quali siano i possibili miglioramenti della PAC per la transizione verso l’agroecologia è intervenuta Maria Grazia Mammuccini, presidente di Federbio, che ha dato il via ai lavori. Per lei l’agroecologia è strategica perché rappresenta «un cambiamento di rotta radicale» non solo per l’ambiente ma anche per gli aspetti economici e sociali, visto che si tratta di un’agricoltura che mette al centro l’agricoltore. È fondamentale essere concreti, afferma, e iniziare da subito a dialogare sul Piano Strategico Nazionale, lo strumento di programmazione che dà agli Stati membri un’autonomia decisionale sulle modalità per implementare le politiche agricole e che include gli indicatori di monitoraggio delle ricadute delle azioni intraprese. Piano che poi dovrà, comunque, essere sottoposto all’approvazione della Commissione Europea.
La Coalizione #Cambiamoagricoltura ha assunto posizioni molto critiche sul testo della PAC approvato dal Parlamento europeo a ottobre. «È stato fatto un passo indietro – ha dichiarato Mammuccini – in particolare sugli eco-schemi tra i quali è stata introdotta anche l’agricoltura conservativa che utilizza il glifosato». Per Mammuccini tra gli eco-schemi dovrebbero essere inserite solo le pratiche agricole coerenti con gli obiettivi fissati da Green Deal, dalla politica Farm to Fork e dalla strategia per la Biodiversità europee e gli aiuti dovrebbero essere commisurati alle esternalità positive prodotte dalle aziende agricole.
«Sono necessari ricerca, formazione, innovazione e consulenza – conclude «perché nel passaggio dall’agricoltura industriale all’agroecologia il nostro Paese può solo guadagnarci».
È stato il turno poi di Fabio Caporali, docente dell’Università della Tuscia, con un intervento dal titolo Agroecologia: un paradigma sistemico per lo sviluppo sostenibile del territorio. Caporali spiega che siamo in una fase di transizione tra il vecchio paradigma riduzionista dominante, rappresentato dall’industrializzazione della agricoltura e dal contrasto fra questa e l’ambiente, visto come un “magazzino” da sfruttare, e il paradigma agroecologico che rappresenta un corretto rapporto fra la terra e l’agricoltura che nutre, una scienza sistemica complessa che attraverso la collaborazione «unisce e non divide». Questa transizione porterà a quella che Papa Francesco chiama la «conversione ecologica» per la quale è fondamentale un’etica che guidi la politica verso il bene comune.
Stefano Bocchi dell’Università di Milano, presidente di Aida, l’Associazione italiana di Agroecologia, nel suo intervento Prospettive di sviluppo e diffusione dell’agroecologia in Italia analizza le componenti che hanno portato in Francia allo sviluppo dell’agroecologia, fenomeno sul quale in Italia siamo ancora indietro nonostante la ricca eredità del passato.
«L’Italia era il paese delle cento agricolture e ha dato i natali a studiosi di ecologia agraria di calibro interazionale come Pietro Cuppari e Girolamo Azzi – racconta Bocchi – ma poi, con la Green revolution, è stato abbandonato l’approccio interdisciplinare e si è andati verso una settorializzazione dell’agricoltura».
Oggi la ricerca, che dovrebbe spingere verso una collaborazione con gli agricoltori, e la politica, nella quale permangono forti contrasti di interesse tra i vari ministeri, sono i maggiori ostacoli ad uno sviluppo dell’agroecologia anche nel nostro paese.
Angelo Frascarelli dell’università di Perugia illustra l’Agroecologia nella PAC post 2020. «Già dal 2021 possiamo attivare la transizione verso l’agroecologia» afferma. Ingenti le risorse stanziate dal Next generation EU che prevede un budget per l’Italia di 925,1 milioni di euro per lo sviluppo rurale. Si tratta di risorse addizionali allo stanziamento ordinario finalizzate a misure di sostegno per riparare l’impatto della pandemia sull’agricoltura. Frascarelli esorta a non dimenticare la partita che si gioca con il PNRR, il Piano per la Ripresa e la Resilienza:
«Ho avuto modo di vedere le proposte del Ministero dell’Agricoltura sul PNRR e la delusione è stata molto grande perché si pensa di utilizzare le risorse per la spesa corrente» ammonisce.
Spiega poi come il vecchio pagamento di base al reddito diventi, nel 2023, un pagamento di base per la sostenibilità e, dopo aver illustrato i vari stanziamenti possibili per le aziende agricole, introduce l’Agricoltura Smart promossa dall’Europa, un «paradigma in cui c’è l’agroecologia, ma anche molta innovazione, dall’agricoltura di precisione alla robotica».
Interviene poi Paolo Barbieri dell’Università Sant’Anna di Pisa, vice presidente di Agroecology Europe con un intervento dal titolo La transizione agroecologica nel contesto europeo ed internazionale: chi, dove e come. Barbieri dopo una ricognizione delle organizzazioni che nel mondo si occupano di agroecologia spiega che la transizione verso sistemi agroalimentari sostenibili deve passare attraverso i tre step del modello ESR:
«Migliorare l’efficienza degli input agricoli con l’agricoltura di precisione, sostituire gli input “controversi” con altri input, per esempio l’utilizzo del roller crimper al posto del glifosato, che produce le stesse rese a costi più bassi, e infine, riprogettare i sistemi agricoli con modelli agroecologici».
Già esistono, sottolinea il professore, esempi concreti che dimostrano come soluzioni agroecologiche basate sulla riprogrammazione dei sistemi colturali possano funzionare oltre che dal punto di vista ambientale anche da quello delle rese e dei costi. Barbieri ricorda infine che sulla sostenibilità, e in particolare sulla produzione di CO2, il sistema di allocazione dei prodotti sul mercato incide in maniera significativa e che è possibile conservare la biodiversità e al tempo stesso prendere «la biodiversità a supporto della produzione, per ottenere servizi ecosistemici, come il controllo dei parassiti, che alla fine determinano una produzione più sana».

Si è aperta quindi con Franco Ferroni, responsabile Agricoltura e Biodiversità del Wwf Italia, la tavola rotonda sul Ruolo dell’agroecologia nelle future politiche europee. Ferroni è critico sugli eco-schemi individuati in sede comunitaria. «Se tra gli eco-schemi ci finiscono interventi che non hanno un impatto importante sul cambiamento climatico e sulla biodiversità, come per esempio l’agricoltura di precisione, non si cambia il modello di produzione e le risorse vengono indirizzate al settore della meccanica». E aggiunge:
«Dobbiamo andare a vedere cosa non ha funzionato nell’attuale programmazione, come per esempio il fatto che l’agricoltura integrata abbia preso più finanziamenti dell’agricoltura biologica. Non è corretto mettere tutti i sistemi di agricoltura nello stesso piano. L’agricoltura biologica e quella biodinamica sono i modelli più avanzati e devono essere premiati più degli altri».
Giuseppe Romano di Aiab sottolinea come ci sia una distorsione sulla distribuzione dei pagamenti che vanno in tasca a poche grandi aziende e che in Italia ci siano oggi «50 sfumature di biologico», un sistema molto differenziato ed estremamente complesso che deve essere valorizzato senza omologarsi agli standard degli altri stati europei.
«Ormai il biologico è uscito dal semplice concetto di azienda agricola e si è aperto al territorio con l’istituzione, per esempio, dei biodistretti e delle filiere. La sfida che abbiamo di fronte è quella di declinare questi sistemi complessi in un ambito redditizio per gli agricoltori» presidiando anche le altre strategie del Green Deal europeo.
Francesco Sottile di Slow Food Italia sottolinea che il biologico è un punto fermo dal quale bisogna passare per favorire la transizione all’agroecologia e questo mette in evidenza l’importanza delle produzioni di prossimità e il ruolo che giocano i piccoli produttori e la biodiversità. Per lui innovazione e tecnologia, fatta eccezione di quella relativa alle nuove tecnologie genetiche, non sono contrarie all’agroecologia ma esiste un problema legato all’accessibilità alla innovazione tecnologica.
«L’agricoltura di precisione, per esempio, potrebbe scavare ancora di più il solco tra agricoltura industriale e agricoltura di piccola scala» riducendo la competitività di quest’ultima.
Conclude parlando del benessere animale «timidamente entrato nella Farm to Fork» e della sua importanza non solo per le produzioni ma anche per il benessere del suolo, per la conservazione delle risorse naturali e per mitigazione dei cambiamenti climatici.
Marcella Cipriani, Vice presidente del Conaf, nel suo intervento cita la Carta di Matera che contiene gli obiettivi che Dottori Agronomi e Dottori Forestali devono perseguire per definire e diffondere un modello professionale orientato alla sostenibilità che contribuisca allo sviluppo economico del Paese garantendo la salvaguardia dell’ambiente e il benessere delle persone. «La responsabilità degli agronomi e dei forestali è relativa al fatto di progettare nuovi sistemi che siano in grado di garantire non solo l’approvvigionamento e la sicurezza alimentare ma anche tutti quegli aspetti correlati alla tutela dell’ambiente che devono diventare dei veri e propri parametri di progetto». Per l’agronoma occorre formazione e trasferimento tecnologico perché «la transizione all’agroecologia è una transizione epocale» e come tale ha bisogno di tempo affinché si realizzi il necessario cambio culturale.
Cristina Tinelli di Confagricoltura dice che come agricoltori «siamo i primi a voler lavorare in un ambiente sano e su terreni fertili» e che l’ambizione della nuova Pac, della strategia Farm to Fork e di quella sulla biodiversità, è di portarci in avanti verso l’agricoltura del futuro.
«Abbiamo competitor molto aggressivi ma è fondamentale che tra le politiche agricole e quelle commerciali ci sia una coerenza. Il voto sulla Pac è stato molto sofferto ma il Parlamento si è espresso a favore di una Pac che è anche più ambiziosa rispetto a quella proposta dalla Commissione».
E conclude: «Come Confagricoltura siamo sostenitori della scienza all’interno dell’agricoltura e siamo molto felici che il Premio Nobel per la chimica quest’anno sia andato a due scienziate per lo sviluppo della tecnica del genoma editing».
Anna Rufolo di Cia esordisce dicendo che «l’agroecologia trova adeguato spazio nel testo della Pac approvato in Parlamento e fermare la riforma in questo momento particolarmente complesso avrebbe effetti catastrofici per gli agricoltori creando una situazione di incertezza giuridica ed economica». Per la Rufolo la contrapposizione tra agricoltura e ambiente è un tema obsoleto:
«La competizione tra i metodi, per esempio tra agricoltura smart, agricoltura di precisione e agricoltura biologica è espressione di una pluralità che è ricchezza e porta all’obiettivo comune che è quello di innalzare l’asticella e proiettare il mondo agricolo verso target sempre più ambiziosi».
La Cia ritiene importante che l’agricoltura biologica sia stata spostata nel primo pilastro ma sarà anche importante valutare nel tempo le scelte intraprese attraverso misure che andranno a verificarne gli effetti.
Paolo Di Stefano di Coldiretti sottolinea come non ci siano gli estremi giuridici per ritirare la proposta della Pac e che il testo approvato ad ottobre non sia meno ambizioso di quello presentato dalla Commissione. Aggiunge inoltre che gli obiettivi della Farm to Fork, per quanto condivisibili, non escono da un processo legislativo e non hanno alla base uno studio di impatto cumulativo. L’Italia, secondo Di Stefano, è in una posizione avanzata rispetto agli altri Paesi per il tipo di produzione, per gli scambi tra gli attori della filiera ed anche per i consumatori che hanno iniziato a comprendere come il cibo viene prodotto:
«Sia l’agricoltura di precisione, sia le nuove tecniche di selezione vegetale potrebbero portare dei risultati significativi e vorremmo avere la possibilità di sperimentare questi metodi per capire se siano più o meno performanti rispetto alle altre».

Conclude la tavola rotonda Carlo Triarico, presidente dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica, che sul tema dell’innovazione spiega che «l’agricoltura ecologica è stata l’innovazione più significativa che l’agricoltura moderna ha avuto nel ‘900». Tutte le tecniche che possono essere utilizzate in agricoltura hanno un significato se lette in un approccio di sistema, illustra Triarico. Ma attenzione:
«Innovazione è diverso da novità tecnologica. Ci sono delle novità tecnologiche che all’interno di un sistema possono essere dannose, come per esempio ritengo che siano gli Ogm considerati all’interno di un sistema agricolo di eccellenza come quello italiano».
Secondo Triarico l’obiettivo della Pac di abbassare progressivamente i prezzi dei prodotti agricoli definito negli anni ’50 confligge con l’obiettivo del modello agricolo italiano che è quello di produrre prodotti di alta qualità. «A noi tutti, industria agrochimica inclusa, converrebbe diventare capofila internazionale di un modello agroecologico» conclude Triarico. Un modello agroecologico italiano che attraverso delle «tecniche dolci» coinvolga ogni agricoltore, anche quelli che oggi si vedono riconoscere dal mercato prezzi bassissimi per prodotti di qualità e che invece rischiano di essere esclusi da un’agricoltura smart.
Scrive per noi

- Analista, facilitatrice, comunicatrice e ambientalista. Laureata in economia a Firenze con master in Ambiente alla Scuola Sant’Anna di Pisa, svolge l’attività di consulenza dal 2000. È tra le fondatrici, nel 2008 di Contesti e Cambiamenti. Organizzazione, comunicazione e partecipazione le sue aree di intervento. È curatrice di BiodinamicaNews, la newsletter dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica.
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