
Greenresilient, la bioagricoltura in serra per la sostenibilità. A colloquio con Fabio Tittarelli
Individuare sistemi innovativi che riducano il livello d’intensificazione colturale e siano sostenibili sia sotto il profilo economico che ambientale. Il ricercatore Crea, in vista del convegno del 19 maggio alla Colombaia di Capua, spiega il progetto che coinvolge 12 centri in otto paesi Ue
Mercoledì 19 maggio si tiene presso l’Azienda agricola La Colombaia di Capua (Ce) “Produzione biologica e biodinamica in serra: l’agroecologia per la progettazione di sistemi sostenibili e resilienti“: un incontro con produttori e decisori politici durante il quale saranno presentati i risultati principali dell’attività di ricerca svolta in seno al progetto europeo Greenresilient. Ne abbiamo parlato in anteprima con Fabio Tittarelli, ricercatore del CREA con una esperienza ultraventennale nonché coordinatore del progetto.
Come nasce il progetto Greenresilient?
Il progetto Greenresilient si occupa di produzione biologica in serra. Nel 2016 la Commissione Europea, in seguito al dibattito acceso degli anni precedenti su questa tematica, ha inserito, nell’ambito del bando di ricerca Core Organic Cofund, un topic specifico con la richiesta di individuare sistemi resilienti e a basso livello di intensificazione colturale per la produzione biologica in serra. Mi sono proposto come coordinatore di una cordata di ricercatori europei per presentare un progetto che avesse l’obiettivo di individuare sistemi innovativi di produzione in serra che riducessero il livello di intensificazione colturale e che fossero sostenibili sia da un punto di vista economico che da un punto di vista ambientale. Ecco come è nato il progetto Greenresilient.

Come mai questo tema era tanto discusso in Europa?
La produzione biologica in serra è un argomento che è stato oggetto di grandi discussioni fin dal 2010. Questo perché nel Regolamento comunitario sul biologico non erano presenti riferimenti specifici sulla produzione in serra. La produzione biologica in serra in Unione Europea è realizzata con modalità molto diverse nei vari paesi. Queste produzioni vengono realizzate dal sud dell’Italia e della Spagna fino alla Svezia e all’Estonia, paesi che hanno delle condizioni climatiche estremamente differenti sia per quanto riguarda le temperature che per quanto riguarda il numero di ore di luce durante il giorno. Nei paesi del nord Europa gli agricoltori utilizzano serre strutturalmente molto solide, coperte di vetro isolante e dotate di tecnologie attraverso le quali sono controllati tutti i parametri di produzione e ottimizzate la temperatura e l’umidità, con l’obiettivo di ottenere la massima produttività per metro quadro. Naturalmente hanno alti costi sia dal punto di vista economico, sia da quello ambientale. Infatti, per avere un ritorno economico a fronte degli importanti investimenti strutturali sostenuti, alte performances produttive sono raggiunte riscaldando le serre durante l’inverno grazie alla combustione di metano ed aumentando la concentrazione di anidride carbonica dell’aria. Nelle aree mediterranee invece si trovano serre a tunnel con copertura in plastica senza un controllo dei parametri di produzione e che quindi, da un punto di vista energetico ed economico, hanno un costo molto più basso ma producono molto meno.
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Quanto pesa questa differenza in termini di rese?
Faccio un esempio: una serra biologica del nord Europa produce circa 50 chilogrammi di pomodoro a metro quadro mentre in una serra dei paesi del Mediterraneo si riproduce massimo 10/12 kg al metro quadro.
Sono differenze sostanziali. Come si è sviluppato il confronto a livello europeo?
Il fatto che nel Regolamento europeo non ci fossero delle regole specifiche per la produzione biologica in serra ha fatto sì che ogni Paese adattasse le regole alla propria realtà creando delle condizioni produttive estremamente diversificate. Questo ha acceso un ampio dibattito che è arrivato fino ad accuse di competizione sleale tra i vari paesi membri. All’interno dell’Europa però bisogna fare in modo che tutti rispettino i criteri previsti dal Regolamento. Questi criteri riguardano l’utilizzazione di alcuni input esterni ammessi per l’agricoltura biologica, come fertilizzanti e prodotti fitosanitari. Ma non solo, per essere certificato come biologico il prodotto deve essere coltivato secondo regole che rispondono ad alcuni principi specifici.
Guarda il video sul metodo per valutare la presenza di ragni e coleottori predatori
Nell’ambito della produzione con il metodo dell’agricoltura biologica, un ruolo importante è svolto dalla gestione della fertilità del suolo. Il metodo biologico prevede che si utilizzino una serie di pratiche, come le rotazioni e i sovesci, che i produttori del nord Europa considerano impraticabili per avere un ritorno economico.
In pratica, le loro serre devono essere sfruttate in maniera intensiva durante tutto l’anno e la coltivazione di specie che non hanno un ritorno economico immediato, ad esempio le colture da sovescio, non è prevista. Un altro argomento su cui si è molto discusso riguarda il consumo energetico. Tra i principi dell’agricoltura biologica c’è l’uso sostenibile delle risorse e dell’energia. Come accennato, il consumo energetico delle serre tecnologicamente avanzate è molto alto. In vista del nuovo Regolamento, la Commissione voleva inserire regole chiare sulla produzione biologica in serra e per avere un parere tecnico si è rivolta al gruppo di esperti permanenti della Commissione Europea sulla produzione biologica (EGTOP), di cui ho fatto parte per due mandati, dal 2010 al 2016. Il gruppo di esperti ha l’incarico di fornire un parere tecnico consultivo quando, come nel caso della produzione in serre, gli Stati membri non riescono arrivare a un accordo condiviso.
Dallo studio della letteratura scientifica si era arrivati alla conclusione che il consumo energetico nelle serre ad elevata tecnologia può arrivare, per alcune colture, come ad esempio il pomodoro, a circa 36 m³ di metano per metro quadro di serra per anno, 360.000 m³ di metano all’anno su un ettaro.
Queste quantità di metano che vengono bruciate producono CO2 che, come sappiamo, ha un grande impatto sui cambiamenti climatici. Avevamo proposto una soluzione di compromesso, per ridurre questo impatto ambientale, che garantiva la condizione di non congelamento del suolo dando la possibilità ai produttori biologici in serra di riscaldarle fino al raggiungimento di 5 °C. Questa condizione però era molto difficile da accettare per i paesi del nord Europa perché presupponeva di cambiare completamente il loro sistema di produzione. Chiedere di non riscaldare una serra oltre 5°C avrebbe impedito a questi agricoltori di produrre, per esempio, il pomodoro durante certi periodi dell’anno. Questa proposta, dopo un lungo dibattito, non è stata però inserita nel nuovo regolamento sul biologico.

Cosa invece è stato accettato all’interno del regolamento?
È passato l’obbligo per le aziende biologiche di coltivare anche in serra le colture di sovescio di breve periodo. In Italia l’obbligo del sovescio c’era già da qualche anno e con l’entrata in vigore del nuovo regolamento biologico europeo sarà obbligatorio per tutte le aziende, incluse quelle del nord Europa.
Quando è iniziato il progetto Greenresilient e chi sono i partner?
Il progetto è partito nel 2018 e coinvolge 12 centri di ricerca situati in 8 Paesi europei. L’attività sperimentale è svolta in 5 siti sperimentali in Italia, Francia, Svizzera, Belgio e Danimarca. Il sito sperimentale italiano è localizzato all’interno dell’azienda agricola La Colombaia di Capua, che è l’unico partner privato del progetto. Abbiamo deciso di realizzare il sito sperimentale presso un’azienda perché ci sembrava più corretto inserire la sperimentazione in un contesto produttivo reale e lo abbiamo potuto fare grazie alla disponibilità degli spazi necessari da parte dell’azienda La Colombaia. Negli altri Paesi, invece, hanno realizzato le prove nelle aziende agricole sperimentali dei centri di ricerca coinvolti ed hanno potuto usufruire di superfici molto più piccole.
Come si è svolto in progetto?
Il progetto presupponeva un cambio dell’approccio produttivo a livello di sistema. La prima cosa che abbiamo fatto è stato ragionare sulle colture che hanno una maggiore resistenza al freddo e che quindi potessero essere utilizzate anche nei Paesi del nord Europa durante l’inverno. Abbiamo scelto la coltivazione di colture di ortaggi a foglia che sono resistenti alle basse temperature per concentrare la nostra attenzione sulle serre non riscaldate. Dopo abbiamo ragionato in termini di sistema individuando la sequenza delle rotazioni di coltivazione delle colture durante un arco temporale di due anni. Ogni sito sperimentale ha adattato alle proprie esigenze e alle consuetudini della propria zona i metodi e le tecniche di coltivazione più adatte. Ogni sito ha effettuato dei campionamenti all’inizio, dopo un anno e alla fine della prova sperimentale per indagare non solo la resa ma anche la fertilità del terreno. Alcuni campioni di terreno sono stati mandati in Svezia dai colleghi che si occupano di microbiologia del terreno, in Olanda per le analisi sulla diversità degli artropodi terricoli e in Belgio per lo studio della biodiversità dei nematodi nel terreno.
Molto interessante è inoltre lo studio sui funghi entomopatogeni e cioè quei funghi che sono presenti nel terreno e che hanno la capacità di uccidere le larve degli insetti dannosi.
Abbiamo quindi monitorato la biodiversità dell’agroecosistema per vedere come cambia in funzione dei sistemi di produzione adottati. Per il confronto dei parametri abbiamo chiesto a tutti siti sperimentali di fornire campioni provenienti da aree coltivate con il sistema di produzione biologico più intensivo praticato normalmente in zona, per paragonarlo con uno o più sistemi innovativi.

Quali sono i sistemi innovativi che avete testato?
I sistemi innovativi sono diversi da paese a paese. Per esempio, in Francia, hanno voluto studiare l’effetto all’interno della serra della realizzazione di bande fiorite utili come un rifugio per i predatori e per i passiti degli insetti dannosi. In Italia abbiamo voluto considerare come sistema di produzione biologica più diffuso un sistema produttivo in cui durante l’estate veniva praticata la solarizzazione, una pratica ammessa in agricoltura biologica che consiste nel bagnare il terreno e nel coprirlo con un foglio di plastica trasparente in maniera tale che la temperatura del terreno superi i 50°C uccidendo così i microrganismi dannosi.
Questa pratica è molto diffusa in Italia ma ha degli effetti importanti per quanto riguarda la disponibilità degli elementi nutritivi e per quanto riguarda la selezione di microrganismi, nematodi, flora spontanea e artropodi.
Al modello della solarizzazione abbiamo affiancato come sistema innovativo il metodo biodinamico, un sistema molto articolato che prevede una serie di pratiche agroecologiche e l’uso di preparati biodinamici. Nel biodinamico non abbiamo utilizzato i concimi organici ma il compost biodinamico che è prodotto in azienda e per quanto riguarda i prodotti fitosanitari ci sono delle restrizioni molto maggiori rispetto a quanto prevede il metodo biologico. Inoltre, visto che l’azienda La Colombaia ha messo a disposizione della sperimentazione otto tunnel, abbiamo potuto realizzato un disegno sperimentale abbastanza complesso che prevede diverse combinazioni dei principali fattori della produzione, come compost, sovesci, preparati biodinamici, arrivando a testare nove trattamenti differenti.
Che risultati hanno dato le analisi del progetto?
Ancora non abbiamo a disposizione tutti i risultati perché il progetto terminerà tra 5 mesi. Posso anticipare che i primi risultati ottenuti sono molto interessanti. Sulla solarizzazione immaginavamo che avesse un effetto sulla disponibilità di elementi nutritivi e sulla degradazione della biomassa microbica nel terreno e, con le analisi, abbiamo avuto una conferma dei rischi associati a questa pratica. Ma abbiamo anche riscontrato una forte tendenza alla lisciviazione dei nitrati negli strati più profondi del terreno. L’utilizzo delle colture di sovescio riduce questi rischi. Sulle rese non abbiamo riscontrato differenze significative e questo è un grande risultato perché, nel momento in cui si accetta l’idea di ridurre il livello di intensificazione colturale, ci si aspetta di non riuscire più ad ottenere la massima produzione possibile. È inoltre in atto una valutazione dei Life Cycle assessment dei vari sistemi sperimentati che fornirà utilissime informazioni di dettaglio che saranno presentate durante il convegno conclusivo.
Ervaringen uit sitebezoek aan Kruishoutem, België 🇧🇪
20 bezoekers bespraken innovatieve biologische productiemethoden in kassen en polytunnels!🌱
👉https://t.co/ZdaXkMAP8n pic.twitter.com/hxqylLq0JI
— Greenresilient (@green_resilient) September 15, 2020
Questo progetto si concluderà a breve, quali strade apre per le future ricerche?
Abbiamo terminato il secondo anno della sperimentazione ad agosto del 2020 ma, fuori dal budget di progetto, abbiamo continuato a gestire il sito sperimentale perché riteniamo che due anni non siano sufficienti per avere delle indicazioni conclusive. Attualmente siamo nel terzo anno di attività e cerchiamo di fare in modo che i sistemi innovativi si assestino a un livello di stabilità. Abbiamo già presentato una proposta progettuale nel bando di agricoltura biologica del Ministero per poter continuare la ricerca in modo da raccogliere dati su cinque anni di sperimentazione. In questo modo le informazioni saranno molto più solide rispetto a quelle che abbiamo allo stato attuale. Il nostro lavoro di ricerca è servizio alla comunità, dei produttori che possono avere delle indicazioni utili per il loro lavoro, dei consumatori che sempre più sono attenti all’aspetto ambientale di quello che consumano e dei decisori politici che possono, sulla base delle osservazioni e dei risultati che abbiamo ottenuto, adeguare al meglio le normative.
Visita il sito del progetto Greenresilient
Scrive per noi

- Analista, facilitatrice, comunicatrice e ambientalista. Laureata in economia a Firenze con master in Ambiente alla Scuola Sant’Anna di Pisa, svolge l’attività di consulenza dal 2000. È tra le fondatrici, nel 2008 di Contesti e Cambiamenti. Organizzazione, comunicazione e partecipazione le sue aree di intervento. È curatrice di BiodinamicaNews, la newsletter dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica.
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